lunedì 1 agosto 2011

UN CERTO MANRICO VITI
(1931-1991)

Incontrai Manrico Viti all’inizio degli anni Sessanta e fu subito una strana amicizia. Faceva il bibliotecario nell’Istituto D. Zaccagna, che frequentavo come studente, ma era già noto per la sua intensa attività giornalistica. Aveva lavorato a Milano al Bertoldo, a fianco dei mostri sacri del giornalismo, Longanesi, Zavattini, Mosca. Per un ragazzino come me, amante dei libri, il Viti, allora trentenne, era una sorta di figura mitica, un punto di riferimento per ogni momento libero dalle lezioni.
Viti affascinava per quell’aria scanzonata, la battuta facile e la propensione a vivere alla giornata, senza preoccuparsi più di tanto. Quale fu la mia sorpresa quando scoprii che scriveva di fantascienza! Proprio allora aveva iniziato la sua collaborazione con l’editore Ponzoni, pubblicando su “Cosmo” prima un racconto a puntate (Duello eterno, nn. 53-60, 1960) e poi un romanzo (Le dimensioni dell’odio, n. 77, 1961), firmandolo, come era d’obbligo allora, con lo pseudonimo di Morris W. Marble, trasparente riferimento alla sua Carrara.
A quegli anni risale l’affettuoso appellativo che mi affibbiò (“Barboni”) e che non dimenticò neppure negli anni più maturi: gli venne dalla lettura di un mio racconto scritto per “Oltre il Cielo” (e mai pubblicato), che trattava di barboni e di extraterrestri, con un’atmosfera alla Miracolo a Milano che, chissà perché, gli era rimasta impressa.
 Intano Viti era attivissimo: scriveva commedie e romanzi (memorabile La lunga Cisa, dedicato alla Resistenza apuana), collaborava a Oggi e alla Domenica del Corriere, firmando molti di quei gustosi bozzetti della “Realtà romanzesca”. Faceva il corrispondente per Paese Sera, dirigeva un suo periodico locale di discreto seguito, Il Carrarese, eppure non riusciva a sfondare, malgrado le qualità innate che possedeva.
Tentò, con scarso successo, la carta dell’editoria e si propose anche di pubblicare la fanzine MicroMega, redatta da Franco Fossati, Piero Prosperi e dal sottoscritto, trasformandola in rivista. Il tentativo naufragò dal primo numero: non era tagliato per gli affari. Da allora il suo contatto con la fantascienza si fece via via più sporadico e occasionale, sebbene siano ancora memorabili certi suoi raccontini fulminanti, alla Frederic Brown, ricchi d’invenzione e di humor (di cui riproponiamo qui alcuni esempi), che mi mostrava fugacemente sopra una carta vergatina sgualcita, ripromettendosi sempre di pubblicarli in volume.
Era andato in pensione. Un giorno, all’inizio degli anni Novanta, mi venne a trovare con un manoscritto sotto braccio. «Ho trovato questo, riordinando le vecchie cose – riconobbi la vergatina spiegazzata e il carattere minuto della sua macchina per scrivere – Oh Barboni, guarda un po’ se interessa a qualche editore che conosci…» Era un romanzo di fantascienza. Lo passai a un amico, ma non ne fece nulla. Roba vecchio stile, disse. Se lo riprese, annuendo gravemente. Non lo rividi più.
Carlo Bordoni

IO SONO INNOCENTE
di Manrico Viti

Signor Giudice, Signori della Corte,
la fragilità di noi esseri di Venere è proverbiale in tutto l’Universo e voi lo sapete. Venere, per gli abitanti della Terra, di Nettuno, Uranio, Plutone, Marte, è sinonimo di amore, di bellezza, di passione. Per questo sinonimo, per colpa della fama che ci siamo fatti nell’Universo intero, è iniziato il mio calvario.
Legalmente sposato con una venusiana, mi sono lasciato travolgere dalla passione per una straniera che ho trovato immobile in un’astronave alla deriva nello spazio. Era silenziosa, bianca, spettrale, con il suo unico grande occhio vitreo che mi fissava quasi ad implorare la mia protezione. Era bellissima. Superba.
La salvai e durante sei lunghi “myr”[1] la curai. Non parlava la nostra lingua e non ha mai parlato perché credo che la poveretta sia muta. No, Signori della Corte, l’amore è una passione troppo grande per noi venusiani e siamo troppo sensibil ad esso per poter resistere! Io non vi riuscii. Cercai di non pensare a lei, ma le sue sembianze di fata mi apparivano in sogno per turbarmi. Tentai di dimenticarla, ma avevo sempre nella mente il suo pallore, il suo strano modo di farsi capire con un brontolio, la sua fragile costituzione.
Ebbene: m’innamorai follemente della straniera e mia moglie lo venne a sapere. Ho avuto da lei tre figli e non mi vergogno a dirvi che l’incontro delle nostre due razze ha fruttato splendidi esemplari. Guardateli, o Signori della Corte! Guardate la straniera e ditemi se un venusiano come me poteva resistere al suo fascino! Non sono un criminale perché ho abbandonato la moglie, ma soltanto un essere travolto dalla passione e dall’amore. Non sono colpevole: giudicate secondo coscienza!
Terminò la sua difesa. I giudici guardarono verso il fondo dell’immensa aula e rabbrividirono di piacere. La straniera era veramente una bellezza superba. I suoi figli avevano creato una nuova razza, un nuovo tipo d’incrocio. I giudici giudicarono. Era innocente, era stato travolto dalla passione. Poteva andarsene in pace con la straniera che amava tanto e con i suoi figli.
Piangendo dalla commozione, AAXON 321, il robot sotto accusa, balzò fuori dalla gabbia degli imputati e corse ad abbracciare la muta straniera. Poi uscì, fra il mormorio di tutti i robot presenti, cingendo amorosamente con le braccia la sua compagna, una lavatrice Candor[2], dalla quale aveva avuto dei figli superbi che si chiamavano Aspirapolvere, Lucidatrice meccanica e Macinino elettrico.


RELATIVITÀ
di Manrico Viti

«Che? Non volete lasciarci passare? Ma siete diventati matti?» ruggì, rivolgendosi a quei venticinque cialtroni che gli sbarravano il passo. Con scatto fulmineo si avventò su di loro. In un secondo ne aveva fatti a pezzi sedici e sbattuti due molto lontano. Gli altri se la dettero a gambe. Udì una grande confusione e gongolò.
«Bene! Arriva l’esercito! Così, con i due battaglioni che ho fatto fuori ieri, completo la pariglia! Voglio vedere se si piegano!» Partì come un razzo contro lo sciame che era arrivato fresco fresco e cominciò a menare botte da orbi. Era un satanasso e fischiettava mentre spediva al creatore decine di gonzi che avevano osato misurarsi con lui. Quando tutto attorno non fu che uno sterminio, decise di riposare qualche istante per riprendere fiato. Fu in quel momento che un parlamentare avanzò e gli si mise di fronte. Tremava.
«Va bene. Ormai hai provato che sei il più forte del mondo. Hai il diritto di governarci. Ma, per favore, basta con questa tua tremenda forza! Ci hai distrutti!»
Udì decine di gole che scandivano il suo nome e che lo invitavano a tenere un discorso: Sapeva che cosa avrebbe detto.
»Sì, sono il più forte del mondo  e nessuno mi resiste! Forse sono il più forte dell’Universo intero in quanto posso battermi contro milioni di esseri! Io sono d’acciaio! Vi governerò, ma guai se qualcuno mi si metterà contro! La mia spaventosa forza lo distruggerà inesorabilmente!»
Stava per accingersi a parlare quando la piazza, la città, il mondo furono sconvolti da una specie di cataclisma. Molti fuggirono, ma lui, l’immensa forza, non ebbe paura. Urlò di rabbia.
«Rieccolo quell’idiota! Adesso mi diverto a beffeggiarlo!»
E lui, il microbo, cominciò a far boccacce e sberleffi all’uomo che lo osservava attraverso un potentissimo microscopio, sotto il quale aveva messo il vetrino con una goccia d’acqua.


LA DIFESA DELLA TERRA
di Manrico Viti

Il colonnello Colbert, comandante in capo delle Forze Armate Terrestri, stava per dare inizio ai lavori della decisiva seduta, quando il telefono trillò. Sbuffando di impazienza, il colonnello Colbert afferrò il microfono, impallidì, poi ridacchiò per assumere, subito dopo, uno stato di eccitazione che impressionò i presenti. Erano ore decisive per la Terra. Colbert sferrò un paio di pugni sul tavolo e, senza dire una parola, scagliò il telefono contro il muro.
«Scusate, signori miei, ma quando si ha a che fare con un pazzo si finisce per perdere la pazienza. Figuratevi che un certo Callaghan, il dottor Callaghan, chiedeva l’intervento di questo Alto Consesso perché… ridete, ridete!... secondo lui una strana astronave era atterrata sul nostro pianeta, aveva sbarcato omini alti mezzo metro muniti di una macchina per… Ah! ah! ah! ah!»
Colbert riprese fiato e smise di ridere. L’attesa era spasmodica «… per moltiplicare i più solenni imbecilli della Terra e affidare loro il comando del nostro sistema! Ah! ah! ah! ah! Veli immaginate i più grandi imbecilli, duplicati, moltiplicati, tutti uguali e tutti stupidi al comando delle Forze Armate Terrestri?»
Se lo immaginavano, e l’enorme sala fu invasa da risate fragorose. Colbert continuò:
«E, naturalmente, gli omini si sarebbero serviti degli imbecilli per fare i comodacci loro! Ah! ah! ah! ah!»
Un secondo dopo Colbert, conscio dei suoi compiti, assunse un aspetto solenne. Il silenzio si fece di piombo.
«Dichiaro aperta la seduta da me presieduta per la difesa della Terra. La parola è al colonnello Colbert, che risponderà allae domande del colonnello Colbert, a nome della commissione dei colonnelli Colbert, Colbert e Colbert…»
L’assemblea dei cinquecento colonnelli Colbert iniziò così, rumorosamente, ma attentamente, i lavori per la difesa della Terra!

(Testi tratti dalla fanzine MicroMega, nn. 1, 2, 3, 1965-66)



[1] Un “myr” è un anno venusiano.
[2] Pubblicità gratuita, in barba alle leggi venusiane.

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