lunedì 1 agosto 2011

IL 21
di Renzo Montagnoli


Ogni giorno, per recarsi al lavoro, percorreva quella lunga via, anzi un viale, fiancheggiato da alberi talmente vecchi che non avevano superfici lisce, ma solo intrecci di nodi che si accavallavano, dando vita a escrescenze che sembravano giganteschi brufoli.
Le case erano poche, per lo più ville costruite chissà quanti anni fa e infatti mostravano chiaramente i segni del tempo, nonostante una certa pretenziosità di uno stile liberty assai in voga agli inizi del secolo precedente. Scrostature nei muri il cui colore affogava in una patina scura, imposte sbiadite, giardini incolti, cancelli arrugginiti e portoni massicci  con battenti d’ottone ormai opacizzato; così si presentavano quelle vecchie dimore che senz’altro avevano conosciuto tempi migliori, di quando una borghesia cittadina, costituita per lo di più di professionisti e agiati commercianti, aveva deciso di costruire in quel luogo, all’epoca l’estrema periferia di un agglomerato urbano raccolto intorno alle antiche vestigia di signori che fino al tardo rinascimento avevano imperato e impresso la loro impronta fatta di palazzi, di castelli e di chiese, un segno del loro passaggio nei secoli a venire per non essere dimenticati.
Qui invece tutto sembrava far pensare che i proprietari desiderassero cadere nell’oblio, come cadenti stavano diventando anno dopo anno le loro dimore.
L’impressione generale è che queste ville fossero da tempo disabitate, abbandonate a se stesse per il disinteresse o la repentina scomparsa dei proprietari.
Del resto lui non aveva mai visto affacciarsi anima viva da quei balconi corrosi, né aveva mai udito suoni o voci uscire dalle mura.
E faceva quella strada da tanti anni, due volte al giorno, la mattina all’andata e la sera al ritorno.
Sempre il solito silenzio, tranne il raro rumore di qualche auto che percorreva quel viale, un deserto di vita come se lì l’orologio del tempo si fosse fermato e non fosse più ripartito.
Fu quindi con un certo stupore che una sera nebbiosa, passando davanti al n. 21, gli sembrò di vedere un volto di donna dietro i vetri di una finestra. Non credeva ai suoi occhi e così si avvicinò al cancello per poter sincerarsi che non fosse una visione.
Sì, era una donna, dai capelli biondi  e dal colore bianco del viso, in cui rilucevano occhi chiari. Provò ad alzare una mano, come per un saluto e quella gli rispose  agitando un braccio.
Strano, ma si sentì soddisfatto, come se avesse trovato finalmente un segno di vita in quell’angolo in abbandono.
Riprese fischiettando il cammino per tornarsene a casa.
Da allora, ogni sera si fermò davanti al 21, ma dietro ai vetri non vide anima viva: tutto era buio, immerso in una tenebra opaca.
Arrivò a pensare di aver fatto un sogno, anzi concluse che non poteva che essere così e riprese i suoi percorsi cancellando dalla memoria la visione di quella sera.
Dopo le nebbie autunnali e i rigori dell’inverno, venne una primavera uggiosa, fradicia di pioggia che ingrigiva un paesaggio che avrebbe invece dovuto traboccare di verde.
Un giorno fece più tardi del solito al lavoro e rincasò con il buio, sotto un’acqua che sembrava punture di spillo.
Fu quando arrivò al n. 21 che la vide, ma non dietro i vetri, bensì aggrappata al cancello.
Bionda, carnagione chiara, occhi grigi, coperta solo da una camicia da notte trasparente che copriva e scopriva, evidenziato la sinuosa rotondità dei seni, l’esile vita da cui si staccavano due gambe snelle e perfette.
Si fermò di colpo.
- Buona sera.
Nessuna risposta.
- Si sta bagnando tutta e poi fa piuttosto fresco.
Ancora silenzio e lei che si umettava le labbra con la lingua.
Lui scosse la testa e accelerò il passo, incredulo, o ancor più stupito. Più si allontanava, più però avvertiva uno strano calore nascergli dentro, accompagnato dal desiderio di tornare là. Stava quasi per farlo, ma poi istintivamente proseguì. Quella notte dormì ben poco, con quell’immagine sempre davanti agli occhi, con quella lingua fra le labbra che lasciava presagire i piaceri più impensabili.
L’indomani, all’andata, si fermò davanti al cancello, ma non c’era nessuno, e allora corse al lavoro, smanioso del ritorno serale.
Camminava veloce, mentre si accendevano i lampioni, ansioso di arrivare al 21, ma quando vi giunse non la trovò, né in giardino, né dietro il vetro della finestra. In preda a un’ansia irrefrenabile, si attaccò alla corda che avrebbe dovuto suonare la campanella, ma questa, corrosa dagli anni, gli si spezzò in mano.
Bestemmiò, lanciò un grido, un altro ancora, ma non ebbe risposta, e allora la tensione si sciolse nel pianto.
I singhiozzi lo scuotevano tutto, mentre una fitta gli lacerava l’anima.
Si avviò verso casa, asciugandosi le lacrime, in preda a un profondo sconforto e come un cane bastonato trascinò i suoi stanchi passi senza volgersi all’indietro.
Nei giorni seguenti, anzi nelle sere seguenti, lei non ci fu mai e lui si chiuse in una assorta malinconia, acuendo la solitudine che sempre l’aveva accompagnato.
Passò la primavera, poi venne l’estate torrida e infine l’autunno piovoso. L’inverno quell’anno fu precoce e già ai primi di dicembre la neve aveva annunciato al mondo che il signore dei ghiacci era in arrivo.
E infatti da lì a poco gelò ogni cosa, i rami delle piante s’incanutirono e le notti si allungarono.
Lui faceva sempre la stessa strada e, soprattutto la sera, quando passava davanti al 21 buttava un occhio, trovando solo la solitudine delle cose abbandonate, quel silenzio che sembrava seppellire perfino i ricordi.
Si stava avvicinando il Natale, giorni di festa, di luci, di amicizie, ma per lui sarebbe stato un giorno come un altro, anzi peggiore se pensava al calore di una famiglia che non aveva, né avrebbe mai potuto avere.
Il 21, quello del mese, quel giorno in cui la notte è più lunga e che per lui aveva un significato particolare, si trascinava lungo il viale, in preda alle sue delusioni, quando ancor prima d’arrivare al fatidico numero civico la vide, aggrappata alle aste del cancello. Il cuore prese a battere, ritrovò vigore nei suoi passi, che si fecero più rapidi e finalmente le fu davanti.
- Ciao, amore mio.
Non ebbe risposta, ma lui si aggrappò alle aste e avvicino le labbra alle sue. Un contatto morbido, ma freddo, un bacio quasi casto. Allungò le braccia e riuscì a stringerla a sé, ma non avvertì il calore di un corpo, e nemmeno la sua consistenza.
La guardò negli occhi e quasi inorridì: quelli che gli erano sembrati grigi, in realtà erano bianchi, senza vita.
Perché? – urlò.
Il grido si perse nella notte, mentre il corpo di lei si sfaldava come cera alla fiamma e in breve non restò nulla, nemmeno una traccia, un segno di ciò che era stata.
Rimase così, a lungo, con le braccia spalancate a serrare il nulla, senza che gli sfuggisse una lacrima, né che il dolore prendesse il sopravvento.
Lei non c’era più e come nel risveglio da un sogno si scosse, riprese ciondolando il cammino e guardò il cielo: chissà se lei lo vedeva, da quando trentatre anni prima vi era salita lasciando il marito folle per il  dolore.

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