mercoledì 2 novembre 2011

GIUSEPPE LIPPI, IL SOVRANO DI URANIA

L'INTERVISTA
Giuseppe Lippi, classe 1953, vuol dire soprattutto “Urania”: siete quasi coetanei, avendo iniziato quest’ultima le pubblicazioni nel 1952…

C’è di più. Lei è dell’ottobre  1952 e io del luglio ’53: nove mesi d’intervallo, come per la nascita di un figlio. Naturalmente, neanche su Saturno si può concepire all’età di nove mesi, un anno al massimo. Ma nel 1990 “Urania” era una trentottenne e, sebbene di fianchi un po’ rilassati, avrebbe potuto partorirmi benissimo.

 Il tuo nome è ormai indelebilmente legato alla storica collana, che ha avuto tra i suoi curatori proprio quel Giorgio Monicelli che ha coniato il termine “fantascienza”. So che non ami parlarne, ma non si può farne a meno, dal momento che hai superato il ventennio di attività e ti appresti a uguagliare, quanto a longevità, il record venticinquennale che apparteneva a Franco Lucentini e a Carlo Fruttero. Vogliamo valutare questa tua bella esperienza con uno sguardo indietro?

Figurati se non amo parlarne… Negli accordi che abbiamo preso dietro le quinte, ho precisato che non mi sarei soffermato soltanto su “Urania”, visto che prima ho fatto gli Oscar  e naturalmente “Robot” con Vittorio Curtoni. Certo, “Urania” è stata il coronamento di quelle esperienze, ciò che mi ha permesso di fare dell’attività fantascientifica il lavoro di una vita e non solo della gioventù. Sai come diceva Luciano Bianciardi: a vent’anni scrivi “un pezzo di colore esotico, una cauta  recensione a venticinque” e a trenta curerai i libri, “evitando di scriverli o di tradurli”. L’intellettuale giovane pensa di essere arrivato, ma è solo l’inizio. Dopo ventun anni, mi sembra che la teoria di volumi messi in fila per la nostra ammiraglia sia un esercito germogliato dai denti del drago. “Urania”, i Classici, “Urania collezione”… per non parlare di “Millemondi”, fantasy e libri rilegati. Una biblioteca composta da sette o ottocento volumi (stima prudenziale), ovvero una quindicina di scaffali in uno studio di dimensioni normali. Parlavo di denti di drago perché, in fondo, ogni uomo si illude di essere un Cadmo, aspetta che prima o poi gli venga chiesto di uccidere il serpentone e costruire la sua città. Per me, più modestamente, si è trattato di prendere per le corna quella creatura proteiforme che è la science fiction e seguire le sorti di una collana con la quale sono nato, come lettore, quando portavo i calzoni corti.

“Urania” è cambiata molto col tuo intervento. Soprattutto per l’introduzione degli italiani. Sono entrati ufficialmente a far parte del parco autori, senza sotterfugi e senza nascondersi dietro pseudonimi anglicizzanti. Come hai fatto?

Una volta che Gianni Montanari ebbe ideato il Premio Urania nel 1988, mi sembrò opportuno realizzare quel progetto, che lui aveva fatto in tempo solo ad enunciare. L’ho portato a termine e ho fatto in modo che diventasse un’istituzione perché sapevo che i tempi erano maturi e non si poteva restare indietro rispetto agli altri editori, ma anche rispetto al “Giallo Mondadori” e a “Segretissimo” che da più tempo pubblicavano autori nazionali. Il passo successivo, nel 1994, è stato di proporre la pubblicazione di scrittori italiani al di fuori del premio: questa circostanza è stata favorita dall’esuberanza del fenomeno Evangelisti, autore che aveva creato un personaggio seriale e che non avremmo potuto contenere nei limiti del premio.

(à suivre...)

Nessun commento: