Disegno di Alberto Corsi |
Mi chiamo Madeleine. Sono la pronipote di Pierre Menard. Sì, avete capito bene: l’autore del Chisciotte. Proprio lui. Ricordato da Borges e dimenticato dal mondo. Un’ingiustizia a cui vorrei porre rimedio, dopo tanti anni dalla sua morte. Proverò a raccontarvi la sua storia a partire da un anno cruciale, il 1934. Lo farò documenti alla mano, con le sue lettere, i suoi scritti, i suoi libri, quel poco che è rimasto del suo capolavoro e il suo diario.
Certo, Pierre Menard teneva un diario. Ho trovato il quadernetto nero in uno scatolone tra riviste, vecchi ritagli di giornale, fascicoli a stampa intrisi d’umidità. Con quella sua calligrafia minuta, così fitta, non è facile capire tutto. Ma mi ha chiarito molte cose. Più che altro mi è servito per rendermi conto delle sofferenze che deve aver patito negli ultimi anni. Una lettera che ti capita fra le mani, uno sfogo affidato a una pagina di diario… Finisce che la persona viene fuori, con i suoi difetti e le sue qualità.
Ora vivo qui, a Nîmes, nella sua casa. La preservo dall’incuria del tempo e degli uomini. Mi ha sempre affascinato la sua casa, disordinata e antica. Piena di libri e di giocattoli di latta, di cui faceva collezione. Ne era gelosissimo, mi permetteva a malapena di toccarli, ma poi mi ricordava di rimetterli a posto, appena finito. Ché poi non li ritrovava più. Era meticoloso, come ogni collezionista. E aveva la scusa che potessi farmi male, col metallo sottile di cui erano fatti.
Poi c’erano i libri. Quelli, invece, erano mescolati, appoggiati da ogni parte, lasciati aperti a metà, con dentro altri fogli piegati a far da segnalibro, tutti in disordine. Ecco. Guardate qui quanti libri! Ci sono ancora tutti, non me la sono sentita di sbarazzarmene. Lo diceva spesso, scherzando, che i libri erano il suo unico amore. La sua “libridine”. L’ansia di possederne moltissimi non gli dava tregua. Comprava e accumulava libri, non era mai sazio di leggere. Gli amici lo prendevano in giro, ma lui non se ne preoccupava. La decisione di andare in pensione appena possibile, all’indomani del compimento dei sessant’anni, l’aveva presa proprio per quel motivo: dedicarsi esclusivamente ai suoi studi. Era capace di isolarsi in casa per intere settimane, senza mai uscire, immerso nella lettura. Andavamo a trovarlo periodicamente (stavamo ad Aigues Mortes, allora) per assicurarci che stesse bene e non gli mancasse niente.
Ricordo che una volta mia madre si provò a rimetterli a posto. In doppia fila, uno accanto all’altro, tenendo conto della loro grandezza. Lei considerava i libri dal lato estetico e aveva messo quelli gialli a fianco dei beige, poi i rilegati in pelle e infine i neri, più scuri e polverosi. Secondo un ordine di grandezza che andava dal piccolo al grande, dove al grande era riservato un posto di maggior prestigio nella libreria. Pensava che i libri ponderosi fossero più importanti. Quando ritornò, Pierre si arrabbiò molto. Disse alla mamma che i libri non sono bicchieri. Che non si mettono in fila secondo la grandezza. Che andavano ordinati secondo gli argomenti e gli autori, altrimenti non ci avrebbe capito più niente. Avrebbe perso ore e ore a ricercare un titolo, senza saper dove trovarlo. Mia madre ci rimase male.
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