giovedì 1 settembre 2011


Maria Teresa Botta
SIMULACRO D'ANIMA

La pietra era stata scalzata dalla sede e giaceva accanto all’apertura scavata alla base della parete rocciosa che s’innalzava vertiginosamente verso il cielo. Nubi scure si rincorrevano nel tramonto sanguigno e fasci dorati sfuggivano alla cupa prigione dei nembi, gettandosi al suolo come in cerca di rifugio.
Jennsen si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa, mentre lanciava un’occhiata inquieta alla cripta che si apriva sotto i suoi piedi. Una sensazione sconosciuta salì dalle profondità dense come l’inchiostro. I suoi pensieri più nascosti si agitarono ridestati dalla notte che galleggiava dentro di lei, e avvertì l’impulso incontenibile, doloroso, di scendere in quell’abisso.
Mosse un passo verso l’ingresso e quando il suo piede scomparve nell’oscurità sentì la stessa voragine spalancarsi nella sua mente, decisa a ghermirla.
Scoprì di volersi perdere in quei meandri sconosciuti, che sembravano penetrare dentro di lei nel tentativo di ricongiungersi a qualcosa di lungamente anelato, nascosto tra le pieghe del buio profondo che la scrutava, in attesa.
Jennsen ricordava di aver perduto qualcosa. Non sapeva quando, non sapeva cosa.
Avvertiva soltanto un vuoto innaturale e il bisogno disperato di riempirlo.
La sua vita era stata semplice e colma dell’amore delle persone che avrebbero dovuto essere importanti per lei. Quell’amore era andato perduto dentro di lei, come un sasso lanciato in un baratro senza fondo.
Ogni sentimento, ogni pulsione dell’animo… Il dolore della perdita, l’odio, l’appagamento dei sensi e la felicità del cuore: tutto era avvizzito prima ancora di essere assaporato, soffocato dal peso plumbeo che le ottenebrava la mente.
Niente aveva mai avuto un significato. Nessuno era mai stato importante.
Aveva cercato se stessa per tutta la vita, ma ciò che restava di lei era lo stesso vuoto riconoscibile nelle pupille di un cadavere già freddo.
Proprio quel vuoto l’aveva guidata nel tramonto, come in una marcia funebre, verso la notte che ora si agitava sotto i suoi piedi.
Era lì, fremente, desiderosa di accoglierla come un’amante perduta e ritrovata dopo incalcolabile tempo trascorso nell’attesa.
Jennsen fu scossa dallo stesso tremito. Finalmente avrebbe colmato il suo vuoto, l’avrebbe guardato in faccia e chiamato con il nome sconosciuto che era anche suo.
Per la prima volta nella sua vita sarebbe stata completa e cosciente di esserlo.
Senza timore, ma anzi spinta da un senso di trepidante attesa, discese nella cripta decisa a dimenticare dietro di sé la radura infestata dal tramonto.
I gradini stretti e viscidi scorrevano veloci sotto i suoi passi bramosi.
Jennsen udì alle sue spalle la roccia grattare contro il suolo e tornare a incastonarsi nella sua antica sede, allo stesso modo in cui si era rimossa per lasciarla entrare.
L’aria era inaspettatamente tiepida, il buio si appiccicava al suo corpo e le inondava gli occhi, accecandola.
Scendeva nel ventre del sottosuolo e nelle profondità della sua stessa essenza, incurante della distanza che la separava dalla superficie della radura, dalla luce della sua consapevolezza.
Un calore pulsante premeva intorno a lei, le scorreva dentro, l’accompagnava nel viaggio. La cripta aveva riconosciuto in Jennsen la gemella della propria oscurità, e la svuotò e la colmò della sua solitaria e desolata presenza.
Quando Jennsen vide un bagliore illuminare il fondo della scalinata, capì di essere giunta alla fine del viaggio. Si fermò a riprendere fiato soltanto un attimo poi, staccando il piede dall’ultimo gradino, percorse il cunicolo che si smarriva in lontananza. Corse fiduciosa verso il lucore guizzante e sanguigno.
Non sapeva da quanto tempo si stesse muovendo e nemmeno in quale direzione. Poteva essere un attimo o un’eternità, ma lei non avvertiva la differenza.
Aveva finalmente trovato quello che cercava da tutta la vita. Lo vedeva fendere un’oscurità sempre più lontana con la sua luce saettante sempre più vicina. Galleggiava nell’infinita notte della cripta, in attesa di ricongiungersi a lei.
Mancava così poco: solo pochi passi, solo pochi respiri.
Jennsen allungò una mano. Le sue dita sfiorarono il chiarore un attimo prima che esso si estinguesse in uno sbuffo danzante, prosciugato da un silenzio che consumava anche i pensieri.
La ragazza si arrestò, stupita. Occhi fatti della stessa sostanza del suo vuoto interiore la scrutavano, ardenti. Due minuscoli bagliori di brace che affacciavano sul buio nel buio. Poteva avvertire quella presenza a pochi centimetri da lei, nel punto in cui aveva sfavillato la radiazione luminosa.
Senza timore allungò ancora la mano, e le sue dita strinsero la terra ruvida, un corpo arido e screpolato, il freddo di una tomba. La creatura si inarcò sotto il suo tocco, concentrando sulla donna i tizzoni che gli si agitavano nel crepuscolo degli occhi.
Jennsen la vedeva troneggiare in tutta la sua orribile natura, nella cieca notte della cripta. La deformità delle sue membra cancrenose era sconcertante e repellente, il suo sguardo scintillava di tristezza e perdita. Il cuore di Jennsen si riempì di angoscia e compassione.
Il Guardiano di quel luogo senza ritorno allungò gli arti senza vita e la trasse a sé, avvolgendola con l’immenso corpo morto.
Jennsen non provò terrore né repulsione. Invece un profondo benessere l’avvolse, le sembrò di aver atteso quell’abbraccio per tutta la vita.
Nulla di quanto aveva vissuto era stato capace di affondare così pienamente dentro di lei, né era mai riuscito ad appagarla con tale agognato calore.
Aveva trovato ciò che aveva perduto, la sua parte mancante.
Quando cinse a sua volta la creatura un brivido la percorse, vitale. La bestia fremette, trapassata dallo stesso palpito. La brace evaporò nei suoi occhi e quando anch’essa scomparve Jennsen poté stringere la sua anima ritrovata tra le braccia.
Chiuse gli occhi, un sorriso colmo di pace si aprì sul suo volto. Jennsen sospirò e si lasciò scivolare a terra. Il suo corpo rotolò, fermandosi contro le ossa di chi, prima di lei, aveva infine ritrovato se stesso.
La sua anima si librò. Completa. Libera.
 

1 commento:

Terry ha detto...

Non ho mai saputo che aveste pubblicato il mio raccontino. XD
Grazie! :-D