mercoledì 2 novembre 2011

WIF5 / E-ZINE DI IF / NOVEMBRE 2011


In questo numero:


* Editoriale / UNO SPECIALE SUI FUMETTI
* L'intervista / GIUSEPPE LIPPI, IL SOVRANO DI URANIA
* Walter Catalano / ALTERAZIONI DEL PAESAGGIO
* Renato Pestriniero / AUTOCIDIO COLPOSO
* Arielle Saiber / I DISCHI VOLANTI NON SBARCANO A LUCCA
* Perogatt Forever / OMAGGIO A CARLO PERONI







Per scrivere a IF / Rivista dell'Insolito e del Fantastico:
direzioneif@tiscali.it


L'EDITORIALE DEL N. 8 di IF / FUMETTI


Perché un numero sui fumetti? Perché il fumetto è il territorio ideale del fantastico. Quello che più immediatamente riesce ad esprimere le potenzialità dell’immaginario. Qualche tempo fa, a Venezia, si è tenuto un convegno che aveva per tema proprio il fumetto fantastico e IF ha raccolto la proposta del suo organizzatore, Alessandro Scarsella, docente presso l’Università Cà Foscari, di pubblicarne gli atti, integrandoli con altri interventi a firma dei nostri collaboratori. Ne è sortito un numero monografico assolutamente originale e... insolito, che prende in esame il mondo della letteratura disegnata da molteplici punti di vista. Ma il 26 settembre scorso è venuto a mancare Sergio Bonelli, autore di Tex, editore, sceneggiatore; uno dei Grandi che hanno fatto la storia del fumetto italiano. Nella sua casa editrice sono passati un po’ tutti i simboli dell’immagina- rio: non solo Tex Willer, ma anche Zagor, Nathan Never, Martin Mystére, Ken Parker, Dampyr, Brad Barron,lo splendido Dylan Dog. Alla sua memoria è dedicato questo numero speciale di IF.
La sezione narrativa di IF è arricchito anche da un testo eccezionale: un racconto inedito per l’Italia di Douglas Preston e Lincoln Child, la coppia ben nota per i romanzi d’orrore, come “Il libro dei morti” e “La ruota del buio”. Preston ha reso omaggio a IF, in ricordo degli anni trascorsi a Firenze. Autore, assieme a Mario Spezi, di “Dolci colline di Sangue”, è dovuto rientrare negli States perché coinvolto nelle indagini sul mostro di Firenze. Caso più unico che raro di uno scrittore che viene indagato per il romanzo che ha scritto.
 Intanto IF ha compiuto due anni e se li porta davvero bene, festeggiandoli con la nascita di un supplemento digitale che, in onore del suo lontano progenitore americano, s’intitola WIF, ovvero “Worlds of If”. WIF si trova in rete ed è aggiornato con cadenza mensile. Pubblica anticipazioni, riproposte, notizie e narrativa con l’intento di mantenere uno stretto contatto con i lettori. Il prossimo numero di IF sarà disponibile da gennaio 2012 e dedicato agli alieni: un tema affascinante per il quale si preannunciano autentiche sorprese. Buona lettura!


 ARCHIVIO

GIUSEPPE LIPPI, IL SOVRANO DI URANIA

L'INTERVISTA
Giuseppe Lippi, classe 1953, vuol dire soprattutto “Urania”: siete quasi coetanei, avendo iniziato quest’ultima le pubblicazioni nel 1952…

C’è di più. Lei è dell’ottobre  1952 e io del luglio ’53: nove mesi d’intervallo, come per la nascita di un figlio. Naturalmente, neanche su Saturno si può concepire all’età di nove mesi, un anno al massimo. Ma nel 1990 “Urania” era una trentottenne e, sebbene di fianchi un po’ rilassati, avrebbe potuto partorirmi benissimo.

 Il tuo nome è ormai indelebilmente legato alla storica collana, che ha avuto tra i suoi curatori proprio quel Giorgio Monicelli che ha coniato il termine “fantascienza”. So che non ami parlarne, ma non si può farne a meno, dal momento che hai superato il ventennio di attività e ti appresti a uguagliare, quanto a longevità, il record venticinquennale che apparteneva a Franco Lucentini e a Carlo Fruttero. Vogliamo valutare questa tua bella esperienza con uno sguardo indietro?

Figurati se non amo parlarne… Negli accordi che abbiamo preso dietro le quinte, ho precisato che non mi sarei soffermato soltanto su “Urania”, visto che prima ho fatto gli Oscar  e naturalmente “Robot” con Vittorio Curtoni. Certo, “Urania” è stata il coronamento di quelle esperienze, ciò che mi ha permesso di fare dell’attività fantascientifica il lavoro di una vita e non solo della gioventù. Sai come diceva Luciano Bianciardi: a vent’anni scrivi “un pezzo di colore esotico, una cauta  recensione a venticinque” e a trenta curerai i libri, “evitando di scriverli o di tradurli”. L’intellettuale giovane pensa di essere arrivato, ma è solo l’inizio. Dopo ventun anni, mi sembra che la teoria di volumi messi in fila per la nostra ammiraglia sia un esercito germogliato dai denti del drago. “Urania”, i Classici, “Urania collezione”… per non parlare di “Millemondi”, fantasy e libri rilegati. Una biblioteca composta da sette o ottocento volumi (stima prudenziale), ovvero una quindicina di scaffali in uno studio di dimensioni normali. Parlavo di denti di drago perché, in fondo, ogni uomo si illude di essere un Cadmo, aspetta che prima o poi gli venga chiesto di uccidere il serpentone e costruire la sua città. Per me, più modestamente, si è trattato di prendere per le corna quella creatura proteiforme che è la science fiction e seguire le sorti di una collana con la quale sono nato, come lettore, quando portavo i calzoni corti.

“Urania” è cambiata molto col tuo intervento. Soprattutto per l’introduzione degli italiani. Sono entrati ufficialmente a far parte del parco autori, senza sotterfugi e senza nascondersi dietro pseudonimi anglicizzanti. Come hai fatto?

Una volta che Gianni Montanari ebbe ideato il Premio Urania nel 1988, mi sembrò opportuno realizzare quel progetto, che lui aveva fatto in tempo solo ad enunciare. L’ho portato a termine e ho fatto in modo che diventasse un’istituzione perché sapevo che i tempi erano maturi e non si poteva restare indietro rispetto agli altri editori, ma anche rispetto al “Giallo Mondadori” e a “Segretissimo” che da più tempo pubblicavano autori nazionali. Il passo successivo, nel 1994, è stato di proporre la pubblicazione di scrittori italiani al di fuori del premio: questa circostanza è stata favorita dall’esuberanza del fenomeno Evangelisti, autore che aveva creato un personaggio seriale e che non avremmo potuto contenere nei limiti del premio.

(à suivre...)

ALTERAZIONI DEL PAESAGGIO

di Walter Catalano

Soprattutto la notte il rumore intermittente dei cingoli sull’asfalto risvegliava un sapore acido di lacrime e ferite. I tank di ronda intorno al campo sovrintendevano al riposo, orchestrando il succedersi di sonno e di veglia, così come di giorno arbitravano l’accesso all’acqua e alle strade.
Nabil si riscosse sulla branda fra le lenzuola sudate: gli avevano interrotto un bel sogno. Con mano sicura lanciava una molotov contro il carro armato che gli veniva incontro mitragliando, mentre il carrista appollaiato sulla torretta si immergeva nell’abitacolo cercando di chiudere la botola in tempo. L’ordigno centrava lo spiraglio e rimbalzava all’interno. Uno scoppio e le fiamme erompevano dalle feritoie d’areazione con le urla roche degli arrostiti.
Il rombo del tank si perse nella notte ma Nabil era ormai sveglio. Tornò a pensare agli olivi centenari nell’orto della casa della sua infanzia e a come il bulldozer li aveva sradicati uno dopo l’altro. Non volevano essere strappati via quegli olivi e resistevano con le radici secolari abbarbicate alla terra: dovettero schiantarli a fatica e coprirono con cicatrici di zolle le ferite profonde e nere che sfiguravano il suolo. Lui aveva sette anni ma non pianse. Anche se c’era rimasta solo una spianata di cemento laggiù al posto dell’orto e della casa, il nonno continuava a tornarci spesso prima che arrivassero i coloni. Si sedevano sul cemento, lui e il nonno, e pensavano agli olivi senza dire una parola, per ore. Poi eressero reticolati di filo spinato e sentinelle coi fucili sparavano a chiunque si avvicinasse e molte altre spianate di cemento pavimentarono i nuovi insediamenti. Ma oltre il filo spinato, sotto il cemento e sotto le zolle – nella polvere di alberi, case e uomini cancellati - quelle ferite restavano spalancate in eterno come bocche urlanti.
In lontananza si udì un suono lontano di raffiche, grida, pianti, ancora raffiche. Non era stato un drone: i droni non facevano rumore. Nabil fremette ricordando altre identiche raffiche, pensando a come la pietra, inutile e patetica, era scivolata di mano a suo fratello, a come anche lui era caduto, sradicato come un olivo giovane, al cingolo del tank che gli era passato sopra per cancellarlo a sua volta, per ridurlo a quella stessa poltiglia di alberi, case e uomini, facile da nascondere e dimenticare sotto il cemento e le zolle, oltre il filo spinato.
Si alzò dalla branda, dette un’ultima occhiata al nonno e alla sorella ancora addormentati, poi uscì a cercare delle bottiglie e una tanica di benzina.

(à suivre...)

AUTOCIDIO COLPOSO

di Renato Pestriniero

Quando si trattava di discutere su questioni organizzative, il capo li convocava tutti e cinque. Era successo solo una volta che il capo si era chiuso nel suo ufficio con soltanto uno di loro, e quel giorno nessuno se l’era dimenticato perché Salò era riapparso con la faccia color calce e gli occhi che sembravano non vedere, se n’era andato dritto verso la porta d’uscita lasciando che si chiudesse da sola alle sue spalle, e da quel momento nessuno l’aveva più visto.
Adesso, quella scena era scoppiata nella mente di Sirio nell’istante in cui la Lory gli aveva
detto di accomodarsi. La conferma che la faccenda era veramente grave l’ebbe quando la ragazza chiuse la porta appena lui aveva varcato la soglia con il suo passo un po’ claudicante. Il capo se ne stava seduto dietro la scrivania di noce tutta intagliata a boccoli in quella sua strana posizione, la gamba destra piegata sotto la coscia sinistra e il piede che spuntava fuori in modo così innaturale da sembrare quello di un estraneo nascosto chissà come. Il capo guardò Sirio con l’espressione dei momentacci mentre la Lory si sistemava in piedi al suo fianco come da protocollo.
«Mettiti là.» Disse il capo indicando a Sirio una delle due sedie dall’altra parte della scrivania, poi si alzò sfilando il piede da sotto la coscia, si avvicinò alla parete, premette un pulsante, uno schermo scese dal soffitto. Quindi fece cenno alla Lory di spegnere la luce. Sullo schermo apparve un’immagine. Sirio riconobbe subito la consegna fatta la settimana prima a Civita di Bagnoregio, la Lory l’aveva scattata da uno dei vicoli di quel paese fantasma che portano alla piazza San Donato. L’immagine era incorniciata artisticamente dal buio del vicolo e mostrava, nella zona in luce, la casa sul lato opposto della piazza. Al centro, dinanzi alla gradinata della chiesa, si vedevano in prospettiva le antiche colonne tronche. Accanto alla prima colonna a destra guardando la facciata della chiesa, c’era lui che parlava con una coppia di balordi. Sirio ricordava che la Lory, nella sua solita veste di bionda turista, l’aveva ripreso nel momento in cui aveva consegnato la roba ai due.
Guardò il capo con aria perplessa.
«Be’?» fece il capo indicando lo schermo con il grosso indice stretto dall’anello barocco, «Quel tizio che sta laggiù, chi è? Hai forse deciso di prendere tuo fratello come gorilla?»
Sirio strinse gli occhi. All’altezza dell’ultima colonna a sinistra, quasi sull’angolo della casa di fronte, un uomo stava fotografando quanto rimaneva della chiesa di San Donato. Accanto a lui una donna si guardava intorno. La distanza rendeva le due figure appena distinguibili. «Ma quale gorilla! Se non me lo dai tu, io mica ho la possibilità di pagarmelo.» Il capo attese qualche secondo fissando Sirio, quindi fece passare un’altra immagine. Era un particolare ingrandito della precedente dove i due turisti apparivano più distinguibili, sebbene il volto dell’uomo fosse semicoperto dalla fotocamera.
«Allora,» disse il capo con tono paurosamente piatto, «Chi è quell’uomo?»

(à suivre...)

I DISCHI VOLANTI NON SBARCANO A LUCCA

THE FICTION OF ITALIAN SCIENCE FICTION
di Arielle Saiber

Arielle Saiber, docente di Italiano nel Dipartimento di Romance Languages presso il Bowdoin College dell’Università Brunswick nel Maine (USA), è autrice di un lungo ed esauriente saggio sulla fantascienza italiana redatto per una rivista accademica americana, di cui pubblichiamo qui una ghiotta anticipazione.


Worse, perhaps, than calling Italian science fiction “derivative”—as has often been recited by science fiction readers and critics, Italian and not—is thinking it does not, or could not, exist. Consult a science fiction (hereafter, “SF”) anthology in English, the “it” language of SF, from any period and you will be hard-pressed to find a single author from Italy. The same goes for encyclopedias of SF and companions of critical studies of SF written in English, where French, German, Russian, Polish, Japanese, Chinese, and Latin American authors are, on the other hand, discussed.  
A large number of monographs in English on international SF has been published in the last few decades, including SF from Germany and Austria (The Black Mirror) and Latin America and Spain (Cosmos Latinos), as well as African American SF (Dark Matter), feminist SF (Women of Other Worlds), gay SF (Kindred Spirits), Canadian SF (Northern Stars), Russian and Eastern European SF (Beneath the Red Star), and Jewish SF (Wandering Stars). One can also find translations into English of SF novels and anthologies written in Romanian, Czech, Chinese, Hebrew, Croatian, Serbian, Finnish, Ukrainian, not to mention French, Spanish, Russian, and Japanese. A study dedicated to Italian SF in English, or an anthology of Italian SF, however, has yet to see any light.
Ask a non-Italian to name an Italian SF author, and you will get a blank stare. Ask a non-Italian SF fan to name an Italian SF author and they will laugh, pause, and realize sheepishly they do not know. Similarly, ask an Italian non-SF fan the same question and they may even be proud not to know (or maybe to know only one: Valerio Evangelisti).
And if you dare ask an Italian SF fan, be ready for a long conversation. Some people (Italians and not) may propose the Futurists, or Italo Calvino as possible SF authors, and then retract that offer, realizing that these authors’ future-related or science-related writings do not, for the most part, quite fit the genre, at least not the “generic,” Anglo Saxon one (although this could be debated, I would say the Futurists—Marinetti in particular—have more in common with genre SF than Calvino does). Others might think of Tommaso Landolfi, Dino Buzzati, or Primo Levi—who did write what would be considered superb genre SF—although not be able to name a SF novel or short story authored by them. A few people might have heard of, or even seen, Gabriele Salvatores’ 1997 cyberpunk film Nirvana, or Mario Bava’s classic Terrore nello spazio (1965; based on Renato Pestriniero’s 1960 short story “Una notte di 21 ore,” translated as Planet of the Vampires and inspirational to Ridley Scott’s 1979 film, Alien). Some may have caught an episode of the widely popular A come Andromeda (1972), an Italian adaptation (by Inìsero Cremaschi) of Fred Hoyle and John Elliot’s British show. Some might think of the humorous writing of Stefano Benni in Terra! Others might cite a adventure comic books that included SF episodes, or focused on SF themes, such as Nathan Never. But even the few writers and scholars who have championed Italian SF have often done so with careful, almost apologetic terms. As SF author and critic Vittorio Catani has written, “in principio fu il Verbo: USA” (Catani, 2002).
“In cinquant’anni di fantascienza in Italia n’è apparso un solo scrittore: Valerio
Evangelisti.” While Evangelisti is certainly a superb and prolific writer, this provocative sentence by SF critic and author Domenico Gallo is, of course, not true, although it is seemingly such, given how Italian SF is characterized, at home and abroad. The editors of the 2007 SFWA (Science Fiction Writers of America) European Hall of Fame volume—who include a short story by Evangelisti—note how Italian SF has “rarely been garnered even the begrudging critical acceptance accorded the genre in other European countries,” and has been allocated to the “ghetto of the ghetto” of World SF (Morrow and Morrow, 60).



(à suivre…)


Copyright (C) 2011 by Arielle Saiber
I would like to thank the following invaluable interlocutors for their time, thoughts, and exceedingly generous help in acquiring texts, images, and difficult to find information: Mauro Catoni, editor of SF quadrant; Giuseppe Lippi, author and editor of Mondadori’s “Urania” series; Carlo Bordoni, author and editor of the magazine If; Silvio Sosio, author and editor of Delos Books and Fantascienza.com; Armando Corridore, author and editor of Elara Press; Ermes Bertoni editor of the Catalogo SF, Fantasy e Horror; author Giampietro Stocco; Luigi Petruzzelli, editor of Edizioni Della Vigna; and Luigi Lo Forti, Christian Antonini, and Vito Di Domenico, editors of Altrisogni. Thanks also to Marco Arnaudo, Pierpaolo Antonello, and Lisa Yaszek for their insights, reading, and commenting on early drafts of this study, and to Katharine Verville, fantascientific research assistant extraordinaire.

PEROGATT FOREVER: OMAGGIO A CARLO PERONI

di Carlo Bordoni


Carlo Peroni, classe 1929, in arte Perogatt, è un disegnatore eclettico. Uno di quelli che nascono con la matita in mano, che sanno fare di tutto. Adattarsi ad ogni bisogna, realizzare qualsiasi personaggio venga loro richiesto. Sono i veri, grandi disegnatori di ogni tempo. Perché chi ha il dono del segno (anche se Peroni sostiene che fumettisti si diventa) è in grado di applicarlo ad ogni soggetto, ad ogni stile.
Dalla realizzazione di tavole per Topolino, Tiramolla, fino ai Flintstones (gli Antenati), a quelle insospettabili, coperte da comprensibile riserbo, come il ben noto pulcino Calimero della pubblicità televisiva, alla cui creazione Peroni collaborò quando lavorava allo studio dei fratelli Pagot. Oppure il sodalizio con Jacovitti (particolare inedito), per il quale lavorò all’animazione di Cocco Bill.
Del grande Jack sapeva fare tutto (salami compresi) e avrebbe potuto continuarne le imprese, se avesse voluto. Molte le caratteristiche che li accomunano: oltre ai grossi nasi, il gusto per il nonsense demenziale (si veda “Slurp”, ad esempio) e l’horror vacui: quella specialissima esigenza di riempire ogni spazio vuoto della pagina di particolari, di oggetti desueti, di cose assurde, di personaggi occasionali che non fanno parte della storia, che sono ininfluenti, eppure contribuiscono – con la loro presenza – a dare un senso. A creare un’atmosfera, a far sorridere. A ben guardare sollevano un velo su una realtà straordinaria, sul mondo affollato della fantasia. Una visione d’estrema complessità, propria dell’immaginazione umana, che il segno puntuale, nitido, particolareggiato e intelligente di Peroni, come quello di Jacovitti, ci fa percepire solo in parte. Perché il resto prospera solo dentro il loro cervello e ci è concesso di goderne solo a sprazzi e in piccole frazioni. Per gentile concessione.
 Ma Peroni è un timido, non ama mettersi in mostra. Da anni si è ritirato in quel di Guanzate (fuori dal caos di Milano, dice, ma per andare da lui, bisogna superare un’intricata rete di autostrade e tangenziali) a continuare il suo lavoro di artigiano della matita, coadiuvato dal figlio Paolo.
Sessant’anni di carriera, una miriade di personaggi, creati e allevati come figli, molti dei quali hanno fatto il giro del mondo e sono conosciuti con nomi diversi, come il tedesco Sonny, che corrisponde al nostrano Gianconiglio. Alcuni personaggi resteranno per sempre nella memoria dei bambini che siamo stati: Nerofumo, lo zio Boris, Mondolumaca, Gervasio, Spugna e molti altri: la nostra finestra sul fantastico quando ancora non c’erano la tv e tantomeno il computer.
La lunga sequenza di soddisfazioni è stata interrotta nel 2008, quando si è visto licenziare in tronco da “Il Giornalino”, assieme ad altri suoi colleghi, con l’assurda motivazione che “non sa disegnare”! Non se n’era accorto nessuno, visto che aveva lavorato alla testata delle edizioni Paoline per una vita, avendo iniziato nel lontano 1948. Ma Carlo Peroni non se la prende. A ottantadue anni suonati sarebbe ora di appendere la matita al chiodo, come si dice. Invece non demorde.
Smanetta sul computer come un ragazzino della “digital generation”, inventa storie e cesella tavole a colori con lo stesso entusiasmo di sempre. È evidente che la creatività non fa invecchiare. Auguri, Carlo, di ancora un lungo e divertente lavoro.