domenica 4 dicembre 2011

ALIEN DI ALAN D. FOSTER

di Carlo Bordoni

L’esistenza di esseri viventi di natura extraterrestre ha sem­pre affascinato gli scrittori di fantascienza, fin da quando H. G. Wells scrisse La guerra dei mondi (1898), in cui ipotizzava un’invasione di marziani. Ma nessuno era giunto a rappresen­tare una creatura così spaventosa, così letale, così profon­da­mente credibile come Alien, creato dall’immaginazione di Alan Dean Foster e portato sullo schermo da Ridley Scott nel 1979.
La storia parte da un contesto tradizionale per la fanta­scienza: durante un “normale” viaggio interstellare, l’equi­paggio del Nostromo, un’astronave cargo, viene inaspetta­tamente risvegliato. I sensori hanno captato un segnale ritmico di soccorso e questo non può che significare una cosa: pre­senza di vita intelligente. L’esplorazione rivela la presenza di un’astronave aliena semi­sepolta che trasporta un carico bio­lo­gico. Sembra un’immensa incubatrice, la cui funzione sia quella di portare in salvo il seme di una civiltà morente o mi­nacciata da pericolo di estinzione. L’eccezionale, insperata oc­casione di in­con­trare una civiltà extraterrestre, però, si rivela ben presto una grave minac­cia per l’incolumità dell’equipag­gio e per gli stessi abitanti della Terra.
La particolare caratteristica del mostro, che Carlo Rambaldi ha tradotto per lo schermo con straordinario realismo, sta nella sua sottile capacità di ri­chiamare alla coscienza del let­tore-spettatore alcuni inquietanti motivi o segni distintivi della biologia e della morfologia umana e animale, mescolandoli in un sa­piente contrasto. Partendo dal presupposto (psicologicamente fondato) che non si può aver paura di ciò che non si conosce, l’alieno creato da Foster ha in sé quel tanto che è necessario per suscitare inquietudine e repulsione, a cui si aggiunge la violenza, la minaccia incombente per l’uomo. Le tre fasi della vita biologica di Alien — uovo, feto e adulto — corrispondono ad altret­tanti “segni” all’interno di una terribile contaminazione tra umano e mo­struoso. L’uovo, celato nelle profondità minacciose di un pianeta sconosciuto, rivela le sue potenzialità riproduttive, quasi oscene, all’avvici­narsi dell’uomo. Il feto, partorito dall’addome di uno degli uomini dell’equipaggio, richiama, ad un tempo, la forma di una mano e quella, altrettanto familiare, di un ragno.
Ma è la creatura adulta a dispiegare tutte le possibilità di un orrore dai con­torni inconfondibili dell’ingegneria biomec­canica, con la sua struttura a metà fra un ret­tile e un cyborg. Alien fa paura proprio in virtù di ciò che siamo disposti a ri­co­noscere di umano in lui, come di fronte a una velata mi­naccia di ciò che potrebbe diventare l’uomo in un luogo e in un fu­turo re­moti, senza più alcun legame culturale o comporta­men­tale con l’oggi. 
Come per una sorta di solidarietà biomeccanica, l’an­droide che fa parte del­l’equipaggio del Nostromo all’insa­puta degli altri, che lo credono umano, fa in modo di difendere strenua­mente la “preziosa” esistenza di Alien. È uno dei casi cari ad Asimov, autore delle tre famose leggi della robotica, di mac­chine modificate per esi­genze di servizio. Si scoprirà con rac­capriccio che la sua prima legge è quella di salvaguardare forme di vita aliene incontrate tra le stelle e di con­durle sulla Terra, anche a costo di sacrificare la vita degli esseri umani, al solo fine del progresso scientifico. Ripley, l’unica donna dell’equipaggio, è la sola a riuscire a tener testa al pericolo rappresentato da Alien, ribadendo il messaggio al femminile che tra­spare da tutto il libro, come dal film: la figura materna come garante della continuità e della salvaguardia della specie, che s’inserisce in un contesto di “segni” maternali rassicuranti (il computer di bordo chiamato “Mamma”) o inquietanti (la struttura organica del pianeta di Alien, che richiama i genitali femminili), a seconda del punto di vista dell’osservatore.
Il romanzo di Foster, dopo il film di Ridley Scott, ha go­duto di altre due appendici filmiche, Aliens-Scontro finale (1986) di James Cameron e Alien 3 (1992) di David Fincher, indicative del fascino esercitato dalla creatura bio­meccanica sull’immaginario di massa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ripley non è l'unica donna dell'equipaggio: c'è la navigatrice Lambert, interpretata dall'attrice inglese Veronica Cartwright.