lunedì 3 ottobre 2011

PRESTON & CHILD: ANDANDO A PESCA

Un racconto inedito in Italia di Douglas Preston e Lincoln Child, dove compare per la prima volta da solo il tenente Vincent D'Agosta del NYPD. In esclusiva sul n. 8 di IF, di prossima pubblicazione.



La Ford Taurus sibilò lungo la strada scivolosa, raggiunse la cima della collina ed emerse dai boschi. Un improvviso panorama di fattorie e campi verdi si aprì là sotto, un grappolo di case bianche e un campanile lungo un fiume scuro.
«Il limite di velocità è di 45», disse Woffler, la voce tesa.
«Non fartela addosso.» replicò Perrotta «Sono un guidatore nato.» Lanciò un’occhiata al falegname: la faccia dell’uomo era bianca, e l’ambiguo orecchino che portava all’orecchio sinistro – un anello d’oro con una pietra rossa – tremava quasi per l’agitazione. Woffler e il suo piagnucolare cominciavano a dargli sui nervi.
«Non sono preoccupato per la tua guida», disse Woffler. «Sono preoccupato perché potrebbero fermarci. Hai presente la polizia?» Lui annuì significativo alla borsa di velluto appoggiata sul sedile tra loro.
«Ok, ok.» Perotta rallentò a cinquanta, mentre l’auto scendeva dalla collina verso la città. «Hai bisogno di una pausa vasino, amico?»
«Potrei prendere qualcosa da mangiare. È ora di cena.»
C’era una tavola calda proprio alla periferia della città, in quella che sembrava una stazione di servizio convertita. Sei camioncini pick-up fermi nel parcheggio sterrato.
«Benvenuti a Buttcrack, New Hampshire.» fece Perotta. Scesero dalla macchina e si avvicinarono al locale. Perotta si fermò sulla soglia, osservando la clientela.
«Li crescono belli grossi qui, vero?» disse. «O pensi che si tratti di consanguineità?»
Presero un tavolo vicino alla finestra, da dove potevano tenere d’occhio l’auto. La cameriera si avvicinò ondeggiante. «Cosa posso darvi, gente?» disse, sorridendo.
«Che ne diresti del menu?» disse Perotta.
Il sorriso scomparve. Lei indicò verso il muro «È tutto lì.»
Perotta esaminò il tabellone. «Portami un cheeseburger, patatine fritte e un piatto di cipolle alla griglia. Fallo al sangue. E caffè.»
«Lo stesso per me», disse Woffler. «Tranne che prenderò il mio hamburger ben cotto. E niente cipolle.»
La cameriera si ritirò ancheggiando e Perotta la seguì con lo sguardo. Mentre passava davanti a un tavolo più lontano, vide un uomo con dei tatuaggi e una canotta che lo fissava. Era uno grande e grosso, gonfiato. Qualcosa in lui faceva pensare a Perotta la prigione. Prese in considerazione il sacco di merda squadrandolo dall’alto in basso, poi decise che non era il caso. E neanche il momento. Si voltò di nuovo verso il suo partner.
«L’abbiamo fatto, Woffler. – disse a bassa voce. – Ci ha fatto impazzire.»
«Non abbiamo ancora fatto nulla. – rispose Woffler. – Non parlarne qui. E non chiamarmi per nome.»
«Chi ci sente? Comunque, siamo a centinaia di chilometri da New York – e nessuno si è ancora accorto della sparizione.»
«Non lo sai.»
Erano seduti in silenzio. L’uomo con i tatuaggi si accese una sigaretta e nessuno gli disse di spegnerla. Dopo pochi minuti la cameriera uscì con gli hamburger e li fece scivolare sul tavolo.
Perotta controllò, come faceva sempre. «Avevo detto al sangue. A-L S-A-N-G-U-E. Questo è ben cotto.»
Senza una parola la cameriera riprese il suo piatto e lo riportò in cucina. Perotta si accorse che il tipo con i tatuaggi lo fissava.
Il piatto tornò fuori e Perotta controllò di nuovo. Non ancora abbastanza al sangue. Cominciò a fare dei segnali alla cameriera, ma Woffler lo fermò.
«Vuoi mangiare il tuo hamburger e farla finita?»
«Ma non è al sangue.»
Woffler si sporse in avanti. «Vuoi proprio fare una sceneggiata adesso, in maniera che tutti si ricordino di noi?»
Perotta ci pensò un attimo e decise che Woffler poteva aver ragione. Mangiò l’hamburger in silenzio, bevve il caffè. Aveva fame. Erano stati alla guida da prima dell’alba, fermandosi solo per far benzina e qualche caramella.
Pagarono, e Perrotta non diede la mancia alla cameriera. Era il minimo che poteva fare, per una questione di principio. Cosa c’era di così difficile nel fare un hamburger al sangue?
Quando furono in macchina, l’uomo tatuato emerse dalla tavola calda e si avvicinò. Allungò un braccio attraverso il finestrino aperto di Perotta.
«Che diavolo vuoi?» chiese Perotta.
L’uomo sorrise. Da vicino, Perrotta poteva vedere che il tipo aveva una vecchia cicatrice da tracheotomia a destra, sotto il pomo d’Adamo. I suoi denti erano del colore delle urine.
«Solo augurarvi buon viaggio. E offrirvi un consiglio.» Parlava gentilmente, rotolando uno stuzzicadenti dentro la bocca.
«E quale consiglio sarebbe?»
«Non tornate un’altra volta nella nostra città. Mai.»
«Non c’è problema. Potete tenervi la vostra Shitville, o comunque si voglia chiamare questa discarica.»
Schiacciò il piede sull’acceleratore, filando fuori dal parcheggio e riempiendo l’uomo di polvere e ghiaia. Guardò nello specchietto retrovisore: si stava spazzando via la polvere dalle braccia, ma non sembrava fare una mossa per seguirli.

(à suivre...)


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